sabato 28 febbraio 2015

Transistor: quando un gioco ti strizza il cuore

Oggi non ho proprio voglia di cercare di essere oggettivo sul gioco di cui intendo parlare. Perché sono quei giochi che, come To The Moon, si prestano sia ad una considerazione tecnica e schematica che, molto di più, a una propria opinione espressa sotto l'influsso di tutte le sensazioni possibili e immaginabili.

Transistor è un gdr a turni. O anche no. Dipende da come lo si voglia giocare. La prima particolarità di transistor è proprio questa: teoricamente lo si può giocare come gdr-action senza interruzioni dell'azione (faccio schifo nel definire i generi, perdonatemi), ma in pratica a volte risulta impossibile e ci si ritrova ad attivare la funzione, chiamata "turn()", che stoppa il tempo e ci permette di pianificare le nostre successive mosse, nell'attesa che la barra del turn() si riempia di nuovo e gli attacchi tornino disponibili.
Questo è lo scheletro del sistema di combattimento di transistor, insieme alla possibilità di unire varie funzioni (ovvero gli attacchi) in modo da avere una funzione attiva (per un massimo di 4), massimo due funzioni di supporto ad ogni singola funzione attiva (in pratica potenziamenti dell'attacco in questione) e massimo 4 funzioni passive, che vanno a influenzare tutte le funzioni presenti e anche elementi come la ricarica della barra turn().

Ora. Dicevo. Non voglio essere oggettivo, quindi vado avanti.

Transistor è un gioco che inizia buttandoci subito nel mondo di gioco senza NESSUNA spiegazione: la protagonista, Red, apre gli occhi davanti al cadavere di un uomo in cui è conficcata una spada che ci parla e che sembra conoscerci: proprio questa spada è il Transistor. Da qui, sotto le indicazioni della spada che costituirà l'unica voce costante nella narrazione in quanto Red è muta, ci faremo strada nella nostra città, in piena invasione di creature robotiche conosciute come "il processo".

La storia ci verrà spiegata più o meno attraverso numerosi terminali che ci proporranno testi dei notiziari riguardanti l'epidemia. Il resto starà a noi capirlo. Starà a noi unire i tasselli sparsi in tutto il gioco per provare ad avere un quadro completo degli avvenimenti, starà a noi andare avanti di area in area (in quadri fin troppo lineari che, stranamente, non intaccano l'esperienza dei videogiocatori abituati ad avere mille scelte su dove andare) per arrivare in fondo alla questione e trovare quelli che ci hanno tolto la voce e che hanno infilato la spada nel corpo del povero cristo all'inizio del gioco.
Il tutto in una veste grafica molto elegante, oserei dire.

Il bello di Transistor è proprio questo. La storia è la parte principale dell'esperienza e ogni minuscola rivelazione aumenta la nostra motivazione ad arrivare alla fine della storia. Una fine che, dopo averci preso il cuore e averlo abbracciato con la relazione tra Red e la spada stessa, ha un sapore agrodolce. Il tipico sapore di quelle storie belle che quando finiscono ti fanno dire "Ne voglio ancora". Solo che non puoi averne ancora, perché la fiamma si è spenta nell'unico modo possibile e tu non puoi fare altro che guardare con il cuore pesante.
Di sicuro un'esperienza da provare. Per cui provatela, in qualche modo.

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